Chi sono

Io, l'escort Mi chiamo David. Non è un nome d’arte, è una resa. Uno qualunque che ha imparato a brillare. Quando mi guardo allo specchio, vedo una somma di geometrie: zigomi tirati, mandibola che sembra tagliata con il righello, spalle che sanno di proporzione e simmetria. È un mestiere, non un dono. La gente pensa che la bellezza sia qualcosa che si ha. No, la bellezza si allena. Si costruisce come un esercito: con disciplina, noia e ossessione. Ogni mattina comincia uguale. Luce fredda, corpo nudo davanti al vetro. Non per vanità, ma per controllo. La pelle racconta la verità prima della bocca. Un brufolo, un’ombra d’occhiaia, un muscolo gonfio male: tutto è un messaggio. Non mi giudico, mi calibro. Gli altri ESCORT GAY A FIRENZE cercano il loro io interiore; io cerco il mio profilo più fotogenico alle sette del mattino.

Faccio colazione con il bilancino, come un chimico. Tutto deve avere un motivo: il caffè per la definizione, l’avena per la continuità, le mandorle per fingere naturalezza. Poi stretching, respirazione, qualche posa davanti al muro bianco. Non per narcisismo — per memoria muscolare. Un modello non pensa, ricorda. Quando la macchina scatta, il corpo deve sapere da solo come cadere nella luce. Il mondo mi osserva e finge di desiderare me, ma in realtà desidera la propria proiezione su di me. Io sono uno specchio liscio, senza macchie, pronto a riflettere quello che la gente sogna di essere. Nessuno vuole davvero conoscermi. Vogliono il Tizio che esce dalle riviste, quello che fa sembrare la vita una passerella infinita. Se sapessero quante ore passo fermo, con la pelle che tira, il collo che brucia, i sorrisi che si sbriciolano dietro le labbra secche.

C’è un momento, sempre lo stesso, durante gli shooting. Lo scatto numero 547. Il fotografo non parla più, la musica è diventata solo rumore di fondo, e io smetto di essere persona. Divento figura. Il corpo si muove con una grazia quasi automatica, come un algoritmo estetico. Lì dentro, in quell’istante, non c’è più Tizio. C’è solo il marchio, l’abito, la pubblicità. Eppure — ironia suprema — è in quel vuoto che mi sento più libero. Nessuno mi chiede di pensare, di credere, di essere qualcosa. Solo di esistere nella luce. Per un secondo, non ho colpe.

Molti pensano che la moda sia frivola. Lo è, ma è anche spietata. Non esistono errori ammessi. Ogni ruga è una minaccia, ogni grammo una condanna. Ti guardano come un prodotto, e se il packaging si rovina, ti tolgono dallo scaffale. Ho visto modelli più giovani di me sparire nel giro di un mese, rimpiazzati da un’altra mascella, un altro sguardo vuoto più fresco del mio. Il successo, qui, è una forma di malattia cronica: o lo tieni sotto controllo, o ti divora. Non ho mai creduto nella spontaneità. È un mito romantico, inventato da chi non ha mai dovuto sorridere 200 volte per ottenere la “naturalezza perfetta”. Ogni gesto è un calcolo, ogni respiro un esercizio. Persino la casualità è pianificata: il capello spettinato è stato toccato da tre mani, il sorriso disinvolto è il risultato di venti scatti falliti. La verità non vende. L’illusione sì, e io sono il suo ambasciatore più fedele. Ma non sono solo un corpo. Non ancora. Nelle pause, quando la troupe fuma e i flash si spengono, il mio cervello si risveglia. Penso a quanto sia strano vivere di immagini. Non possiedo nulla di ciò che mostro. Le foto sono ovunque, ma io non ci sono dentro. Quelle copie non invecchiano, non si stancano, non si ammalano. Io sì. Loro sopravvivranno a me, immobili e perfette, mentre io cambierò, e nessuno lo vorrà vedere.

Mi piace guardare le persone comuni, quando cammino per strada. Non per giudicarle, ma per ricordarmi che la normalità esiste. Gente con occhiaie, pance, imperfezioni. Li invidio. Loro possono permettersi di non essere belli ogni secondo. Io no. Ho firmato un contratto invisibile con il mondo: devo restare desiderabile, o smetto di esistere socialmente. È una gabbia dorata. La differenza è che, col tempo, ti abitui al suono del lucchetto. A volte provo a pensare come sarebbe ingrassare, mollare tutto, lasciarmi andare. Immagino le spalle che perdono definizione, la pelle che si rilassa. Penso che mi sentirei libero per cinque minuti e poi completamente inutile. Perché il problema non è la bellezza: è l’identità che ci costruiamo intorno. Io non so più chi sono senza l’estetica. La mia mente è un archivio di pose, non di pensieri. Quando provo a essere spontaneo, mi sento finto. Quando mi fingo, mi sento vero. È una trappola elegante. La gente mi chiede spesso come si fa a essere “sicuri di sé”. Io sorrido. Nessuno più insicuro di chi vive di approvazione visiva. L’autostima di un fotomodello non nasce dall’interno, ma dai pixel. Se i like calano, se la campagna non piace, l’autostima evapora come sudore. Ci dicono che la bellezza è potere, ma in realtà è una dipendenza da conferme. Siamo tossici dell’immagine. E la dose dev’essere sempre più alta. Non mi lamento. Ho scelto questa vita, o forse lei ha scelto me. C’è qualcosa di ipnotico nell’essere guardato, nel sapere di incarnare un ideale che altri inseguono. È come sentirsi necessario, anche se in modo fittizio. La società ha bisogno di modelli, letteralmente e metaforicamente. Noi serviamo per ricordare a tutti quanto ancora non sono perfetti. Siamo l’ago che tiene tesa la tela del desiderio collettivo. Senza di noi, forse il mondo si rilasserebbe un po’ — e questo, per chi vende sogni, sarebbe un disastro. Ricordo il mio primo shooting importante. Milano, un loft enorme, dieci persone intorno a me. Il fotografo mi guardò e disse: “Non pensare, senti la luce.” All’inizio mi sembrò una sciocchezza mistica. Poi capii che aveva ragione. In questo mestiere, pensare è un ostacolo. La mente rallenta il corpo, lo irrigidisce. La macchina fotografica cattura i microsecondi di verità fisica, non la logica. Da allora, ho imparato a spegnermi ogni volta che inizia un set. È come entrare in trance: non servo più io, serve l’immagine di me come UN FIRENZE GAY ESCORT

C’è un momento dopo ogni servizio fotografico, quando tutto è finito. Il trucco cola, le luci si spengono, la gente smonta. Io resto qualche minuto davanti al monitor, a guardare le anteprime. E mi capita di non riconoscermi. Penso: “Chi diavolo è quello?” Bello, sì. Ma distante. Un estraneo lucidato a specchio. Eppure, tutti lo ameranno. Nessuno noterà la fatica negli occhi, le vene sulle mani, il muscolo teso per reggere la posa. Ameranno solo la superficie. E io non posso biasimarli: è l’unica parte che offro. La notte, a volte, mi capita di fare sogni bizzarri. Sogno di camminare per una città dove nessuno ha volto. Tutti sono sfocati, tranne me. Le persone mi toccano, come a cercare di rubarmi i tratti. Quando mi sveglio, mi sento svuotato. Forse è il mio inconscio che mi ricorda che la mia faccia è ormai un bene pubblico. Mi capita anche di guardarmi nelle vetrine, non per vanità ma per riconfermare la mia esistenza. Se non mi vedo riflesso, mi sembra di scomparire. Le relazioni? Difficili. Chi mi conosce parte già prevenuto: o ti idealizzano o ti odiano per quello che rappresenti,un Escort Firenze . È raro che qualcuno voglia scoprire il “Tizio normale”, quello che si fa il caffè in mutande e guarda i documentari alle due di notte. La bellezza diventa un muro. E dietro quel muro, spesso, c’è solo silenzio. C’è chi dice che la solitudine è il prezzo della fama. Non è vero. È il prezzo della finzione.

Ho imparato a essere gentile con tutti, ma a fidarmi di pochi. La moda ti insegna che la simpatia è un ornamento, non una virtù. Serve solo finché illumina il tuo volto nella foto successiva. Poi diventi archivio. O, come dicono con grazia, “passato”. Eppure continuo. Perché in questo mestiere c’è una strana adrenalina. Ogni scatto è una piccola resurrezione. Ti distrugge, ma ti fa rinascere per un secondo. È l’illusione di poter essere eterno, anche se sai che il tempo ti consumerà.

Quando mi chiedono cosa mi spinge, rispondo sempre la stessa cosa: la luce. È l’unica cosa sincera in questo mondo di trucco e filtri. Non mente mai. Ti rivela e ti condanna allo stesso tempo. È l’unico giudice imparziale che conosco. Per questo, forse, continuo a posare: non per piacere agli altri, ma per trovare ogni volta un modo nuovo di guardarmi senza fuggire.

So che verrà il giorno in cui smetteranno di chiamarmi. Succede a tutti. Un viso più giovane di Escort Firenze, più “fresco”, prenderà il mio posto. E io? Forse insegnerò ai nuovi come farsi luce addosso, o forse sparirò del tutto, con la discrezione di chi ha capito che la bellezza è un prestito, non un diritto. Ma finché avrò il privilegio di essere guardato, voglio esserlo con coscienza. Voglio che dietro ogni mio sguardo, ogni posa, ci sia un piccolo segreto: che in quella perfezione costruita, c’è un essere umano che pensa, che dubita, che sa quanto tutto questo sia fragile.

In fondo, è questo che mi salva: la consapevolezza. So di essere un’immagine, ma sono io che la creo. Non è poco.

E quando i riflettori si spengono e torno solo nel mio appartamento bianco, mi guardo ancora una volta allo specchio. Mi sorrido. Non perché mi ami, ma perché so che domani, da qualche parte, ci sarà ancora una foto di me che farà credere al mondo che la perfezione esiste. Ed è giusto così. Qualcuno deve pur fingere che sia vera..